Procida, la più piccola delle isole del Golfo di Napoli, è un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, preservando intatta la sua autenticità e il suo fascino. Conosciuta come l'”Isola di Arturo” grazie al celebre romanzo di Elsa Morante, Procida è un intreccio di colori vivaci, tradizioni secolari e paesaggi mozzafiato. Nel 2022 poi, è stata insignita del titolo di Capitale Italiana della Cultura, un riconoscimento che ha messo in luce la sua ricchezza storica e culturale.
Procida, l’isola della lentezza
Quando metti piedi sull’isola di Procida, sbarcando dal traghetto, hai come l’impressione di entrare in un dipinto. Le case color pastello di Marina Grande ti danno il benvenuto, stringendoti come in un abbraccio al rientro da un lungo viaggio. Il sole si riflette sull’acqua calma, i panni stesi sventolano al vento come bandiere di un regno segreto, e il profumo di mare si mescola con quello del caffè appena fatto. Procida non è un luogo che ti invita a fare. È un luogo che ti invita a sentire, a rallentare. Senza programmi. Senza mappe. Solo con i sensi all’erta.
E nel momento in cui sbarchi, in un attimo, capisci perché quest’isola ha incantato scrittori, registi e viaggiatori. Procida è piccola, ma dentro di sé custodisce l’infinito. È un posto dove le storie sembrano nascere da sole, tra un vicolo in salita e una barca che rientra al tramonto. E allora, lasciati guidare. In questo racconto ti porterò con me tra le meraviglie dell’isola. Scopriremo i suoi borghi sospesi nel tempo, le spiagge dove il silenzio ha la voce del mare, i sapori autentici che sanno di casa e di Mediterraneo. Perchè Procida non è solo una destinazione. È uno stato d’animo.
Verso Terra Murata
Quando sali verso Terra Murata, la parte più alta dell’isola, il cielo sembra più vicino. Il sole caldo di aprile batte sulla pietra viva, e ogni passo sembra portarti indietro nel tempo. La salita è silenziosa, interrotta solo dal suono delle scarpe sui ciottoli e da qualche voce lontana che si perde tra i muri. È qui che il tempo rallenta davvero, dove le storie si aggrappano alle mura come l’edera, e il vento ha imparato a raccontarle.
Terra Murata è anche una delle zone più panoramiche di tutta Procida. Dalle sue terrazze lo sguardo abbraccia l’infinito blu del mare, spingendosi fino alle coste lontane e alle isole sorelle, Capri e Ischia. È un luogo che toglie il fiato non solo per la sua storia millenaria e severa, ma per la bellezza struggente del paesaggio che lo circonda. Camminare per le sue stradine antiche, affacciandosi sui balconi naturali sospesi sul golfo, significa entrare in una dimensione ultraterrena , dove il tempo sembra essersi fermato per cullare i sogni e i tormenti dei suoi abitanti.
Sopra ogni cosa, svetta l’antico Palazzo d’Avalos, un tempo reggia, poi divenuto carcere. Le sue finestre sbarrate, ancora oggi, conservano sguardi e silenzi. Ma proprio accanto, quasi nascosto da un’aura di mistero, si trova uno dei luoghi più toccanti dell’intera isola: il Conservatorio delle Orfane.
Il Conservatorio delle Orfane: un rifugio di silenzi e speranza
Nascosto tra le pieghe di Terra Murata, il Conservatorio delle Orfane è uno di quei luoghi che non si visitano solo con gli occhi, ma soprattutto con il cuore. Fondato nel XVII secolo, nasce come istituto di carità e accoglienza per le ragazze orfane dell’isola, in un’epoca in cui essere senza famiglia significava spesso essere senza futuro. Qui, tra queste stanze che profumano ancora di incenso e di vecchi spartiti, le giovani venivano educate alla musica, al ricamo, alla preghiera. Era un luogo di rigore, certo, ma anche di protezione. Mentre fuori l’isola affrontava pirati, colera e fame, dentro quelle mura si coltivava un senso di dignità, si offriva un’occasione di rinascita.
Oggi il conservatorio è in parte visitabile, e camminare lungo i suoi corridoi è come sentire ancora le voci bambine che intonavano salmi antichi, le risate soffocate dietro le mani, gli sguardi complici sotto le cuffiette bianche. C’è qualcosa di sacro e tenero in questo luogo, un’energia che racconta la forza femminile, il coraggio della fragilità. In una piccola sala ancora si trova l’antico organo, la cui musica, si dice, riecheggiava fino al mare nei giorni di vento. Ogni stanza racconta di preghiere sussurrate, di piccoli sogni cuciti insieme come pezze di un’unica coperta.
E fu forse proprio tra quelle ragazze, reali o idealizzate, che visse Graziella, la protagonista del romanzo omonimo di Alphonse de Lamartine. Figlia del popolo, dolce, sensibile e pura, Graziella viene spesso associata alle giovani cresciute tra le mura del Conservatorio. Il poeta francese, ospite sull’isola nel 1811 durante il Grand Tour, ne rimase talmente colpito da trasformare quell’amore fugace e struggente in un simbolo eterno. La leggenda vuole che Graziella fosse realmente esistita, una giovane procidana di grande bellezza e animo gentile, conosciuta da Lamartine durante il suo soggiorno napoletano. Si dice che frequentasse il Conservatorio, o che almeno lì avesse trovato riparo dalla durezza della vita. Morì giovanissima, per malattia, lasciando un vuoto che il poeta colmò con versi intrisi di malinconia. La sua figura è ancora oggi celebrata sull’isola, ogni estate, con una sfilata in costume che rievoca il suo spirito romantico e il fascino discreto delle donne di Procida.
Il Conservatorio, così, diventa non solo un luogo di memoria, ma anche di ispirazione. Un angolo in cui la storia e la letteratura si intrecciano, dando voce alle donne dimenticate, a chi ha vissuto nell’ombra e a chi, come Graziella, ha lasciato un’impronta senza bisogno di gridare.
Tuffati nei colori di Marina Corricella
Scendere a Marina Corricella è come attraversare un grande dipinto ad acquerello. Le scalinate che si snodano tra archi bassi e muretti scoloriti sembrano portarti dentro un mondo che non si cura del presente. Tutto è sospeso nel tempo. Le reti da pesca stese ad asciugare, le barche che dondolano dolcemente, i gatti che dormono sotto i tavoli dei ristoranti.
Arriva lì la mattina presto, quando il cielo inizia a lasciarsi alle spalle le sfumare rosa dell’alba. Ogni casa di questo borgo ha un colore diverso, di intense tonalità pastello. Questo perchè, in passato, i marinai potevano riconoscere il colore della propria dimora da lontano, anche con la nebbia del mattino. Ogni facciata è praticamente un saluto accogliente a chi torna dal mare.
Marina Corricella non ha strade, solo scalinate, vicoletti, passaggi sotto le case. È un labirinto di vita lenta, di voci sommesse, di profumi che escono dalle cucine. E’ un luogo dove la bellezza non ha bisogno di annunciarsi, ti arriva addosso come un soffio, senza preavviso, mentre cammini senza meta e all’improvviso ti ritrovi davanti al mare.
È anche qui che fu girato Il Postino, l’ultimo film di Massimo Troisi. E mentre sorseggi un bicchiere di vino bianco locale, seduto su una terrazza, puoi capire perché proprio questo luogo fu scelto come location. Perché Corricella è muta poesia.
Spiagge che parlano al cuore
Non si va a Procida per cercare il lusso. Si va per trovare l’essenziale. E le sue spiagge, così discrete e autentiche, sono l’essenza stessa dell’isola.
La Spiaggia del Pozzo Vecchio, conosciuta come la “Spiaggia del Postino”, ti accoglie silenziosa. L’acqua è ferma come uno specchio e solo qualche ragazzo del posto si tuffa ridendo. La sabbia nera, figlia del vulcano, da alla baia un’aria primordiale, come se nulla fosse cambiato da secoli. Siediti sulla riva, ascolta il rumore regolare delle onde e il fruscio del vento tra le canne. Ti rendi conto che non stai solo ammirando il mare, lo stai ” sentendo” con tutto te stesso.
La spiaggia di Chiaiolella
Poi c’è la Chiaiolella, lunga e baciata dal sole, dove le famiglie si radunano con teli colorati e bambini che corrono. Qui la vita ha il suono delle ciabatte sulla sabbia calda e l’odore del panino con la parmigiana portato da casa. È una spiaggia sincera, vera, fatta di rituali semplici e quotidiani. Verso sera, quando il sole scende dietro l’isolotto di Vivara e colora tutto d’arancio, la Chiaiolella si trasforma. I pescatori rientrano, le ombre si allungano, e il giorno si accomiata come un vecchio amico.
Ma se cerchi un rifugio più intimo, vai alla Lingua o alla Silurenza, spiagge piccole, nascoste, silenziose. Alla Lingua, il pontile abbandonato è diventato un molo per i pensieri. Seduto lì, con i piedi nell’acqua, ti sembrerà di poter fermare il tempo. La Silurenza invece è una carezza di sabbia fine, protetta da una parete di roccia, dove anche il sole sembra voler restare più a lungo.
Le calette segrete
E poi ci sono le calette segrete, quelle che non trovi sulle mappe ma che ti vengono sussurrate da chi l’isola la conosce bene. Ci arrivi solo a piedi, o in barca, magari con qualcuno che ti porta “dove andava suo nonno a fare il bagno”. Baie in cui ogni tuffo ha il sapore dell’iniziazione, ogni bagno è un piccolo rito, e ogni sasso levigato dal mare custodisce una storia che nessuno ha ancora raccontato.
A Procida, il mare non è mai sfacciato. È intimo. Ti accompagna senza imporsi, ti consola senza chiedere nulla. Le sue spiagge non vogliono stupire, vogliono accogliere. E quando te ne vai, ti rendi conto che un po’ di quella sabbia l’hai portata con te, dentro l’anima.
L’Isola di Arturo, di Elsa Morante
Tra le pieghe del cielo azzurro e i profumi salmastri di Procida nacque uno dei romanzi più intensi della letteratura italiana del Novecento: L’isola di Arturo di Elsa Morante. Pubblicato nel 1957 e vincitore del Premio Strega, il libro è un inno struggente all’adolescenza, alla solitudine, al mistero dell’esistenza. Morante visitò Procida per la prima volta negli anni ’40, in compagnia di amici napoletani, e rimase folgorata da quell’isola piccola e remota, così diversa dal mondo caotico di Roma e di Napoli. I suoi paesaggi aspri e delicati, le case tinte di colori vivaci, la natura ancora selvaggia e il senso profondo di isolamento furono la linfa che nutrì la sua immaginazione.
La storia di Arturo Gerace
A Procida, Elsa trovò un microcosmo perfetto per ambientare la storia di Arturo Gerace, un ragazzo cresciuto nell’adorazione di un padre assente e in un’educazione impregnata di miti cavallereschi e sogni di gloria, destinato a scontrarsi con la dura realtà dell’età adulta. Gli scorci descritti nel romanzo, la Casa dei Guaglioni, la spiaggia silenziosa, il carcere che incombe cupo su Terra Murata, sono trasfigurazioni poetiche di luoghi reali che l’autrice esplorò e amò visceralmente. Ma ciò che più la colpì, e che si sente vibrare in ogni pagina, fu la condizione esistenziale degli isolani. Un misto di orgoglio, fatalismo e struggente bisogno d’amore.
L’isola non è solo uno sfondo, bensì una creatura viva, complice e matrigna, che plasma Arturo e ne accompagna i moti interiori. Come scrisse Morante, “Procida è una patria immaginaria e assoluta, dove ogni sogno è possibile e ogni delusione inevitabile“. La luce abbacinante, il mare infinito, la durezza della terra..tutto si fonde nel romanzo in una potente metafora della crescita e della perdita dell’innocenza. È grazie a Procida che Elsa Morante poté raccontare, con una voce limpida e ferita, il viaggio universale di ogni essere umano alla ricerca del proprio posto nel mondo.
Tradizioni e cultura
Procida è un’isola che vive ancora sospesa tra mito e realtà, custode di tradizioni antiche che il tempo non ha scalfito. La sua anima autentica si rivela soprattutto nelle feste popolari, nei riti religiosi e nei piccoli gesti quotidiani che raccontano una storia secolare di mare, di fede e di comunità. Una delle tradizioni più emozionanti è senza dubbio la Processione dei Misteri, che si svolge il Venerdì Santo: un corteo struggente e solenne in cui grandi tavole dipinte e statue raffiguranti scene della Passione sfilano per le strade, portate a spalla dai giovani procidani. Ogni quartiere prepara per mesi la propria “misteria”, in un’opera collettiva di arte, fede e memoria che coinvolge tutta l’isola. Ma Procida è anche la terra del mare e dei limoni.
La pesca e la coltivazione di agrumi sono attività che non hanno mai cessato di scandire il ritmo della vita quotidiana. Non è raro incontrare ancora oggi anziani pescatori che intrecciano reti a mano o donne che preparano conserve di limoni secondo ricette tramandate di madre in figlia. Le feste patronali, come quella dedicata a San Michele Arcangelo, il protettore dell’isola, esplodono in una gioiosa celebrazione di fuochi d’artificio, processioni in mare e musica tradizionale.
I piatti tipici di Procida
La gastronomia dell’isola è un altro specchio della sua identità, fatta di semplicità, ingegno e amore per le cose genuine. Non si può dire di aver conosciuto davvero Procida senza aver assaggiato il suo celebre coniglio alla procidana, cotto lentamente con pomodorini, aglio, vino bianco e aromi raccolti nei campi. Un piatto che parla di un’antica cultura contadina, quando il coniglio allevato nelle case era un lusso delle grandi occasioni. Dal mare arrivano invece specialità come i totani e patate, una ricetta povera ma di un’intensità unica, oppure le linguine ai frutti di mare, preparate con vongole appena raccolte e un filo di olio locale profumato.
L’insalata di limoni sorprende con la sua freschezza agrumata, e il tradizionale casatiello dolce, il rustico di Pasqua arricchito da glassa e confetti, racconta le feste con il profumo di casa. Non si può poi lasciare l’isola senza aver assaggiato una fetta di torta al limone o una granita preparata con i limoni più profumati del Mediterraneo, coltivati nei cosiddetti “giardini segreti”, orti murati dove il tempo sembra essersi fermato. A Procida, ogni piatto è molto più di un semplice pasto. E’ una dichiarazione d’amore alla terra, al mare e alla memoria.
Perchè Procida è l’isola della lentezza
Procida è un respiro lento nel cuore del Mediterraneo, una carezza di luce sospesa tra cielo e mare. Non è un luogo da conquistare, ma da ascoltare. Camminando tra i suoi vicoli stretti, tra il silenzio antico di Terra Murata e il sorriso aperto dei pescatori della Corricella, si comprende che Procida non va solo visitata, va rispettata, va amata come si ama una creatura fragile e preziosa. Ogni muro scrostato dal vento, ogni scalino consumato dal sale racconta storie che nessun tempo potrà mai cancellare, ma che il turismo distratto potrebbe facilmente ferire.
Qui il tempo si dilata, si fa lento, e chi arriva deve imparare a rallentare con lui. Procida non si offre a chi corre, a chi consuma. Si svela, poco a poco, a chi sa fermarsi a guardare il riflesso delle barche sull’acqua, a chi sa ascoltare il fruscio degli agrumeti sotto il sole di aprile, a chi sa perdersi senza fretta in un intreccio di voci, di profumi, di silenzi antichi. È un’isola che chiede rispetto, che chiede di essere attraversata in punta di piedi, come si attraversa un sogno fragile al risveglio.
Un mondo antico che chiede di essere custodito, e non invaso
Chi viene qui non deve lasciare tracce rumorose, ma solo impronte leggere, come quelle di un bambino sulla sabbia. Non serve molto. Basta camminare piano, guardare con occhi nuovi, parlare a bassa voce, vivere l’isola così com’è, senza desiderare di cambiarla. Perché ogni sua imperfezione è bellezza, ogni sua crepa è memoria viva.
Procida è un piccolo mondo antico che chiede di essere custodito, non invaso. È un testimone di tempi in cui la vita si misurava col ritmo del mare e delle stagioni, e ancora oggi, se tendiamo bene l’orecchio, possiamo sentire la voce del vento che racconta, in dialetto procidano, storie di partenze, di ritorni, di speranze mai sopite. È nostra responsabilità non spezzare questo incanto.
E’ un’isola che non ha bisogno di nulla per essere perfetta. Un’isola che, come scriveva Elsa Morante, è “una patria dell’anima”, e come ogni patria vera, merita solo amore, rispetto e gratitudine.
ANTONELLA
Ho letto il tuo post come si legge un racconto, una poesia. E’ scritto con il cuore e un ritmo che rispecchia la lentezza della vita isolana, la sua bellezza selvaggia e il suo mare incredibilmente attraente. Non ci sono mai stata ma il profumo del Mediterraneo puro e intenso è arrivato fino a me come un richiamo
Arianna
Che bello questo articolo! Con poesia ci hai fatto assaporare la lentezza e bellezza di quest’isola che peraltro vorrei visitare da tempo, devo proprio organizzarmi, adoro le isole e questa non l’ho ancora visitata
Alessandra
Mi è piaciuto moltissimo leggere il tuo post, così delicato e poetico. Da ragazzina avevo letto “La storia “, é ora di riprenderlo in mano. Che meraviglia quest’isola. Mi piacerebbe molto visitarla… magari non in piena estate però!
Annalisa Spinosa
Credo che valga, come in tutte le destinazioni, la regola d’oro della mezza stagione come periodo ideale di visita.
Paola
Lessi La Storia di Arturo anni fa, mi incantò. Poi arrivò anche il titolo di Capitale della Cultura e di nuovo mi dissi: devo andare a Procida, ma ahimè ancora non ci sono stata, come in tutta questa zona. Sarà caotica d’estate immagino, forse meglio in primavera
Claudia
Non sono mai stata a Procida, ma me la immagino come un’isola ancora persa in un passato lento, dove il turismo di massa ancora non e’ arrivato – o forse si’ ma non ha rovinato la sua essenza. Mi ha messo tristezza il conservatorio delle orfane, ma tutto sommato ci sono posti peggiori dove crescere!
Annalisa Spinosa
Devo dire che nonostante la ressa turistica l’isola ancora non Si è snaturata. Infatti non trovi resort o hotel di lusso ma solo pensioni e b&b. Sperimao mantenga questa caratteristica nel tempo
Silvia The Food Traveler
Bellissimo articolo, complimenti! Mi hai trasportata direttamente a Procida con le tue parole: ho avuto l’impressione di sentire il rumore delle onde, e il profumo della salsedine. Una meta che ha sicuramente qualcosa di magico e che spero di poter visitare, magari in bassa stagione, in modo da poterla vivere al meglio.
Annalisa Spinosa
Assolutamente consigliata nei mesi morti, proprio per poterne assaporare l’autenticità